martedì 29 dicembre 2015

Spremere acqua dall'aria


Orto dei Tu'Rat
Da un po' di tempo a questa parte assistiamo alla presentazione di ogni sorta di diavoleria atta a estrarre acqua dall'aria. Il fatto che i venti trasportino una certa quantità d'acqua ha stimolato fantasia e creatività di ingegneri, inventori e imprenditori che, vuoi per estrema necessita (gli israeliani ad es.) vuoi perché hanno fiutato l'affare del secolo (gli israeliani + il resto del mondo) hanno prodotto una marea di apparecchiature varie per estrarre acqua dai venti umidi. Certo, in effetti l'acqua tra un po' sarà un bene prezioso, ma fino a quando la considereremo un mezzo di trasporto per i nostri escrementi non avremo acquisito la giusta sensibilità per trattare questo problema. L'acqua è sempre più inquinata e sempre più rara, ma in tempi non sospetti, quando ancora questo liquido vitale non era contaminato dalle attività umane, i nostri progenitori avevano già delle tecniche validissime per estrarlo dall'aria, specialmente in quei posti dove anche a scavare per un chilometro non si sarebbe spremuta una goccia d'acqua. Nell'aria non c'è tantissima acqua (circa il 3% in peso), ma se consideriamo la facilità di spostamento di grossi volumi di aria attraverso il vento si può comprendere come la risorsa cominci a diventare di una certa consistenza e di un certo interesse anche in ottica futura. Esempi di strutture di condensazione esistono fin dalle prime forme di civiltà umana con forme e strutture diverse ma che sfruttano sempre il seguente semplice principio: l'aria umida entra in contatto con la superficie delle pietre, l'acqua condensa su queste superfici e viene raccolta attraverso la stessa forma della struttura per essere usata come acqua potabile o per altri usi. Le più semplici strutture per la condensazione sono i muri a secco che incontriamo nelle campagne, spesso al sud (Sicilia, Puglia, ecc.), ma anche nel nord Italia (Liguria ad es.), certo sono delle strutture di raccolta involontarie, cioè non sono state costruite per quello scopo, ma loro non sapendolo continuano a condensare l'acqua presente nei venti umidi che le colpiscono. La condensazione dell'acqua sui muri a secco crea un particolare ambiente alla base della struttura che normalmente favorisce la crescita di vegetazione e funghi che spesso si trovano alla base dei muri (ad esempio in Sicilia i muri a secco sono uno dei luoghi dove crescono meglio gli asparagi selvatici). Inoltre la fitta rete di muri a secco favorisce l'infiltrazione dell'acqua nel terreno agendo da barriera per le acque di scorrimento superficiale. Camillo Reina, un geologo pugliese del ‘900,  ha dimostrato l’efficacia di questo arcaico sistema di irrigazione verificando la capacità di condensare l’acqua dall’aria atmosferica, ma anche quella di arrestare il processo di evaporazione garantendo un continuo rifornimento di acqua alla radici delle piante. In pratica il muro garantisce anche una sorta di "pacciamatura pietrosa". In Puglia ad esempio, dove si concentra lo studio di Reina, terra dove l’acqua è preziosissima, si realizzano le condizioni per trarre vantaggio dall'umidità atmosferica a beneficio di alberi, a mezzo di muretti a secco. La conferma della capacità dei muretti a secco di condensare il vapore acqueo viene da una tecnologia dell’antichità che veniva chiamata i “pozzi di rugiada”. Sotto questa dicitura venivano raccolte tutte le costruzioni che riuscivano a far condensare l’umidità atmosferica e convogliarla verso precisi usi. I pozzi di rugiada ritrovati sono molto antichi e di diverse dimensioni, il principio è semplice: si tratta di strutture costituite da pietre giustapposte, con delle cavità che permettono al vapore di entrare, ma sono al riparo dal calore solare diurno, e dal vento che disperderebbe la condensa. Quindi durante il giorno, mentre l’aria esterna si scalda, le rocce rimangono fresche e consentono al vapore di condensare quando impatta sulla loro superficie. Strutture del genere sono molte frequenti in tutte le culture e civiltà, citiamo i pozzi d’aria di Teodosia (500 a.C.), gli antichi stagni di rugiada del Sussex Downs delle colline di Mariborough e del Wiltshire. Più recenti sono le invenzioni dei pozzi ad aria di S.B. Russell (1922), L. Chaptal (1929) di Achille Knapen (1930) e C. Courneya (1982).
Trafiletto su popular science del pozzo di Russell

Il muro a secco è nato certamente con altre finalità, la condensazione dell’acqua è un meraviglioso ed inaspettato “effetto collaterale” positivo, ma proprio per questo in Puglia, alcuni pionieri italiani di questa tecnica, hanno considerato che il muro a secco era assolutamente migliorabile come tecnologia per “spremere” acqua dall’aria. Dopo tanto studio e vari esperimenti hanno capito l’importanza della morfologia della struttura del muro a secco e anche l’orientazione della struttura stessa rispetto ai  venti ricchi di vapore acqueo (libeccio e scirocco in quel territorio). Riprendendo gli studi di Pietro Laureano, hanno riportato in vita delle strutture arcaiche di condensazione, delle mezzelune in pietra a secco opportunamente orientate rispetto ai venti carichi di umidità che hanno la capacità di drenare acqua dal vento umido che sferza la pianura salentina. Questa tecnologia è stata ampiamente ignorata dagli scienziati contemporanei, forse perché non ha bisogno di energia, forse perché è assolutamente gratuita e forse anche perché siamo stati abituati ad una tale abbondanza d’acqua che ci è sembrato normale utilizzarla per trasportare i nostri escrementi con i sistemi fognari. Ma adesso il problema si comincia a sentire anche nel ricco occidente, l’acqua è sempre più inquinata e sempre più rara, l’acqua potabile ha un prezzo sempre più elevato, tanto che ha attirato i famelici interessi delle multinazionali (anche in Italia sono rimasti pochi comuni con l’acqua gestita dal soggetto pubblico). In questo contesto ambientale sempre più inquinato, sempre più irrimediabilmente depauperato, il recupero di questa antica tecnologia può significare un grande aiuto per chi coltiva la terra, in particolare per chi si occupa di aridocultura,  e anche un grande risparmio in termini energetici e di lavorazione del terreno, senza contare che potrebbe essere un’arma eccezionale contro l’incipiente desertificazione del nostro territorio. Da questa esperienza pugliese è nata un’associazione culturale chiamata Orto dei Tu’Rat che ha realizzato il proprio progetto su un terreno ad Ugento nel Salento, questo è il loro sito Orto dei turat.

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