sabato 9 gennaio 2016

Zai: una via di fuga dalla desertificazione

Realizzazione di una griglia di Zai. Fonte Farming Africa
Ci sono posti sul nostro pianeta che definire inospitali è poco, posti dove far crescere un filo d’erba nel terreno rappresenta un’impresa epica degna di celebrazioni e onori. Roba da far impallidire anche il protagonista del romanzo di Andy Weir (The martian) che, abbandonato dai suoi colleghi su Marte, riesce a sopravvivere aguzzando al massimo l’ingegno, riuscendo a far crescere le patate dove era impossibile crescessero. L’uomo è una specie indubbiamente invasiva e distruttiva, ma ha il pregio che nelle difficoltà riesce sempre a trovare una via di uscita, anche in situazioni tragiche. Chissà come si sono sentiti gli antichi  abitanti del Sahel, una regione occidentale del Burkina Faso, quando si sono ritrovati a coltivare lande bruciate dal sole, battute da rarissime e comunque violente e distruttive piogge, caratterizzate da suoli aridi e incrostati, inadatte ad ospitare la vita vegetale. Eppure, anche in questo caso, l’ingegno e la caparbietà umana hanno avuto la meglio sul degrado e sulla devastazione. Gli uomini del Sahel hanno cominciato ad utilizzare quello che avevano a disposizione (pietre, legni, fascine) per migliorare le condizioni colturali, costruendo strutture atte a trattenere l’umidità oppure a condensarla dall’aria, ma è stato quando non c’era assolutamente niente a disposizione attorno a loro, quando l’unico elemento che avevano era il suolo reso durissimo dai crostoni salini, è stato in quel frangente che hanno avuto un’idea rivoluzionaria, semplice ed efficacissima: lo ZAI.

Lo zai è una struttura negativa, ma forse se dico che è una buca rendo meglio l’idea. In realtà non è una buca, ma una griglia di piccole buche che vengono scavate secondo una maglia con un passo di 70-80 cm, profonde 15-20 cm e larghe 20-25 cm. Le buche vengono riempite parzialmente con il letame secco e questo ha un primo effetto sul terreno degradato: l’aumento della sostanza organica immediatamente disponibile e l’instaurarsi di condizioni ambientali tali da favorire il ripristino della fauna microbica positiva (oltre ad attirare insetti ed altri invertebrati utili). Un’altra immediata conseguenza favorevole è la rottura dei crostoni salini che impediscono l’infiltrazione delle acque e rendono i terreni assolutamente inadatti alla coltivazione. Lo zai, inoltre, raccoglie e concentra la poca acqua a disposizione in prossimità della pianta che così può facilmente nutrirsi evitando gli stress da mancanza di umidità. Una volta realizzata la rete di zai il terreno riesce a trattenere meglio le scarse precipitazioni, il metodo risulta estremamente efficace nei terreni in leggera pendenza (<5%). Le piogge, anche se violente, invece di ruscellare ed allontanarsi dal pendio coltivato, cadono dentro le buche che vengono riempite, una volta piene, l’acqua non può fare altro che infiltrarsi nel terreno andando a nutrire la pianta ospitata nello zai e rimpinguando anche le scarse falde freatiche presenti nel sottosuolo. La buca diminuisce anche l’evaporazione dell’acqua trattenendo meglio l’umidità intorno le radici della pianta. Una rete di zai può contribuire a rendere meno devastante l’effetto  sul terreno delle precipitazioni parossistiche (qua le chiamiamo bombe d’acqua) che sono frequenti in questi paesi. La presenza di questa rete di buche diminuisce l’energia e la portata delle acque di ruscellamento diminuendo, quindi, anche le conseguenze distruttive (erosione, movimentazione di inquinanti, ecc.). 
Può sembrare una sciocchezza, in fondo sono solo dei buchi nel terreno, ma gli studi fatti su questa ancestrale tecnica di recupero dei terreni hanno dimostrato che gli zai trattengono il 500% in più di acqua rispetto ai terreni che non  vengono trattati con questa tecnica e che la produttività dei terreni aumenta di un fattore pari a 10, cioè se un terreno produce 100 chili di patate, con gli zai si arriva a 1000 kg! In realtà la produttività è ancora maggiore se viene applicato un ammendante organico. Questa low technology può essere applicata su tutti i suoli sabbiosi ed argillosi, preferibilmente con pendenze inferiori al 5%. Ulteriori effetti positivi che devono essere evidenziati sono relativi alla salute generale dei suoli che recuperano integralmente la loro fertilità e la loro struttura e alla circolazione idrica sotterranea che viene alimentata tramite la lenta percolazione dell’acqua. Questa pratica ancestrale è diffusa anche nel Mali e nel Niger dove viene chiamata Tassa ma purtroppo è sconosciuta nel resto del continente africano, però vista l’efficacia la FAO e altre organizzazioni stanno tentando di diffondere questa usanza anche in altre zone e in altri continenti. Talvolta la soluzione più semplice è quella migliore, quella che non ha bisogno di costruire qualcosa, ma soltanto di togliere…

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